Saturday, August 23, 2014

Mind the flowers



Nella via dove Laura ed io abitiamo da quasi due mesi, un’attrice locale - tale Vigdís Hrefna Pálsdóttir - ha ideato un modo tutto suo per coadiuvare i dissuasori di velocità nel loro compito. Quasi ogni giorno, Vigdís piazza un secchio (o una borsa, a seconda dell’estro del momento) contenente dei fiori proprio in mezzo alla strada: le auto hanno tutto lo spazio necessario per circolare, ma gli autisti sono costretti a rallentare, prestare attenzione. E farsi delicati nel passaggio.

Ecco, pensavo che, in questo periodo, mi vorrei adagiare un vaso di fiori in testa. Come una specie di generica richiesta – o avvertimento – indirizzata al mondo.

Saturday, August 9, 2014

Di nuove avventure (e storie invece fin troppo vecchie)


E insomma, rieccoci.

Dopo una parentesi sarda (trascorsa coltivando verdure biologiche e cedendo la ragione al panico per buona parte del tempo), ci troviamo di nuovo a Reykjavík da una manciata di settimane.
A parte qualche problema logistico, che stiamo cercando di risolvere, stiamo bene e ci godiamo l'estate Islandese.

Mentre scrivo, dalla finestra, vedo una tizia che, infilatasi in un vestitino leggerissimo, prende il sole sul marciapiede, semi-svenuta su una sedia davanti a casa sua, da ore.

Siamo entrambe due esseri umani, dotate di ossa, carne, terminazioni nervose e tutte cose. Eppure, quando uscirò, più tardi, io indosserò un maglione di lana di pecora islandese.

Ad ogni modo, tornando a noi: questa volta, senza fare progetti a lungo termine e non mettendoci pressioni di alcun genere, abbiamo rinnovato il kennitala e ci siamo dotate di lavoro, conto corrente e taxcard: zitte zitte, quatte quatte, nel giro di un mesetto. Hai visto mai che riusciamo a rimanere anche per l'inverno!

Ma non bruciamo le tappe, e gustiamoci il presente: questa è la settimana del Reykjavík Pride!


Le celebrazioni sono state aperte dall'ex Primo Ministro del Governo Jóhanna Sigurðardóttir.
La città, come ogni anno, si è tinta di rainbow.
Negozi e attività della zona si sono dotati di oggetti, menù, manifesti, gadgets di ogni genere tutti a tema.
Ieri, le impiegate della nostra banca, avevano tutte un porta-badge arcobaleno al collo.
Chiacchierando con Lukka, la mia nuova datrice di lavoro, mi sono sentita chiedere, in scioltezza, se Laura fosse "your girlfriend? Or are you married? Is she your wife?".
Dovrebbe funzionare così, se ne dovrebbe parlare in questi termini, ma io non ci sono abituata e mi emoziono.
Chi glielo dice, a Lukka, che in Italia siamo un pelino indietro?
Che non solo non ci vengono riconosciuti dei diritti fondamentali, ma che qualcuno si permette ancora di soppesare le scelte altrui e pure di commentarle in un modo così volgare, squallido, basso, da far venire il vomito?

Magari oggi mettiamo a tacere il livore facendoci autrici di un reportage fotografico dal Pride islandese e poi gli mandiamo delle cartoline, a Mario.

Sunday, August 4, 2013

a lezione di inglese con Johnny Cash

Tra le diverse attività intraprese, e mai portate a compimento, c'è lo studio dell'inglese.
Il mio pessimo e personale rapporto con la lingua anglossassone inizia alle medie.
Il voto che prendevo con più regolarità - una sorta di coerenza nell'applicazione allo studio - era scarso.
Mi sono ripresa dal pessimo rapporto con questa astruso e complicato idioma, che si pronuncia in modo diverso da come si scrive, solo all'Università. Poi, dato l'esame, ho smesso di studiarlo.

Ma veniamo a oggi.
Trovo che Johnny Cash avesse una pronuncia limpida. Ascoltando i suoi pezzi, riesco a distinguere bene le parole. Quindi, ho deciso: ripasserò l'inglese con le sue canzoni. Certo,al posto di esempi di vita quotidiana, fatta di penne sul tavolo o gatti alla finestra, o pomodori più economici del latte (?), il mio inglese sarà fatto di immagini - un po' inconsuete, nei testi scolastici - sul bruciare nelle fiamme dell'inferno viva, attraversando l'oscurità, per finire in carcere.
Per fare pratica, al caffè, dovrò parlare di quella volta che son saltata giù da un treno ma, per fortuna, non sono morta. O di quella volta che ho fatto la boscaiola, o che sono stata una pluriomicida. Alle colleghe di lavoro chiederò se per loro l'amore è come un cerchio di fuoco.
Thank you, Johnny!

Comunque la seconda scelta era Margaret Thatcher.

Saturday, July 27, 2013

kafka chi?

"Ma qui a Reykjavík la gente mangia sempre? A tutte le ore?", ci chiedevamo noi, divertite, nei nostri primi giorni di permanenza in città, lo scorso aprile.

In meno di tre mesi, mi sono trasformata in un Mostro a tre teste e sei bocche.
Tutte che mangiano moltissimo.

Non che non fossi già una buona forchetta (o Voi che già stavate per avanzare l'osservazione, io vi conosco e vi precedo quasi sempre, Serpi!), ma adesso ho anche raggiunto picchi di voracità preoccupanti.

Certe performances che, se mi vedesse l'amica Veri, che era solita sfottermi per la lentezza con cui mangiavo e, in particolare, sorseggiavo il caffè dopo cena ("quello lì lo conservi per la colazione di domani?"), non mi riconoscerebbe.

Poi, insomma, non è che qui si mangi sanissimo.

Noi ci premuriamo anche di comprare verdura e verdura (no, non è un errore... è che la frutta, qui, scarseggia assai: il massimo dell'esotico è la fragola), ma se la fame ti coglie mentre sei in giro per la città, la cosa più rapidamente a portata di fauci e di portafogli, è l'hot dog. E non un hot dog qualunque. Un hot dog með öllu: pylsa, salse varie e cipolle, crude ma pure croccanti (presumubilmente fritte e anche zuccherate).

Non so a cosa sia dovuta questa mia metamorfosi.

Tensione?

Aria fresca (...), un po' come fosse aria di montagna, che - si sa - mette appetito?

Qualunque cosa sia, prego affinché lo Spirito Mangerino che pare essersi impossessato di me, esca da questo corpo.

Anche se ha già iniziato a sentircisi fin troppo comodo.

(il pylsa ancora non siamo riuscite ad immortalarlo, per ovvî motivi)



Saturday, July 13, 2013

ricomincio da tre

1. HO LE MIE COSE
2. SONO SOLO UN PO' STANCA
3. HO MAL DI TESTA


Questa settimana, le ho dette tutte e tre.
E non erano mica scuse che si tirano fuori nelle circostanze che ben sappiamo.



1. HO LE MIE COSE.

Anzi, vogliamo strafare: ABBIAMO LE NOSTRE COSE.
Our personal belongings!
Gli scatoloni sono arrivati, finalmente!
Lo scotch ha retto. Siamo felici.

Ah, l'importanza di portare con sé qualcosa di familiare, quando si espatria!
Vabbè, magari noi abbiamo esagerato.
Bastavano anche meno di 350 chili di personal belongings, forse. Una tazza, per dire.
Però quanto conforto si prova, nell'aprire le scatole in un susseguirsi di "ohhhhh", per ogni oggetto che ne salta fuori!
Così, come se ci fossimo mandate dei regali di benvenuto da sole.
Che tonte.

Ci abbiamo messo un po', ma tutto il contenuto dei dieci scatoloni ci ha seguito diligentemente su per le scale, fino ad occupare ogni centimetro quadrato del pavimento di casa.
Siamo sempre senza mobili; l'ambiente fa ancora un po' di eco. Attutita, però, dal tappeto di personal belongings sparpagliati ovunque.
Ti volti e c'è un mestolo che ti guarda sorridendo. E' quasi casa.




2. SONO SOLO UN PO' STANCA.

Lo ammetto: sto piangendo moltissimo. Un po' fontana malata (dopo vent'anni, mi si presenta l'occasione per ringraziare la docente membro della commissione d'esame di maturità che, durante la prova orale di italiano, mi fece leggere la poesia di Palazzeschi. Fu davvero bello deliziare gli astanti con quei versi. Ricordo con serenità le risate dei compagni - cretini. - al mio declamare l'incipit "clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, clocchete, chchch").

Ma sto piangendo moltissimo, dicevamo.

Un po' per tutto:
- nostalgia
- sorpresa, al mio provare nostalgia
- sprazzi di felicità, al palesarsi di un timido raggio di sole
- comprensibile spaesamento
- pre-mestruo
- foto di cani; disegni di cani; cani in carne e pelo; sempre cani, anche in lontananza. Non ho ancora provato coi peluche. Vi farò sapere.


L'altra sfoglina giustamente si/mi pone la legittima domanda "cosa c'è?", alla quale io rispondo, a seconda del momento:

a. sgranando gli occhi e scuotendo solo la testa (sto piangendo, non riesco a fare altro)
b. sono solo un po' stanca.

In realtà, ci sono momenti - quando ho freddo, o quando guardo annunci di lavoro in islandese (google translate è ormai la mia seconda casa) - in cui vorrei salire sul primo aereo verso sud. E piango. Ma la risposta giusta da dare, lo so, è: sono solo un po' stanca.




3. HO MAL DI TESTA

Vero. Ultimamente, ce l'ho spessissimo. Ma stai a vedere che sono solo un po' stanca.




A parte questo, sono davvero contenta che tu, Springsteen Bruce, abbia scelto la data di Roma ( = quando io non c'ero... e non è che capiti spesso, quando suoni in Italia) per regalare al tuo fedele pubblico la tanto agognata "New York City Serenade". E mi riempie di piacere sapere che, per farlo, tu abbia pensato di farti accompagnare dall'Orchestra Roma Sinfonietta.

In mille su quel palco, e io non ero là sotto, Maledetto.

Ma sono felice per chi ha potuto gustarsi il momento (peste vi colga tutti quanti, disgraziati).


Altri aggiornamenti dalla settimana appena trascorsa:
c'era Ryan Gosling, qui a Reykjavik!
No, non lo abbiamo incontrato.
Pare, tuttavia, che ogni islandese, invece, sì.
Addirittura lo hanno visto quando, distratto da chissà quali eventi, ha tamponato lievemente l'auto che precedeva la sua.
Però non era Ryan Gosling. Era tale Júlíus Pétur Guðjohnsen, che tornava dal funerale della nonna, poveretto.
Júlíus dev'essere abituato a questa curiosità morbosa delle genti, visto che, dice, tutti non fanno altro che dirgli quanto assomigli all'aitante attore.
Ecco Júlíus.

Vabbé, soprassediamo.

Comunque il vero Ryan Gosling c'era davvero. Solo che non ha tamponato nessuno.




Ultima nota di colore: nonostante cerchiamo di mimetizzarci tra gli autoctoni, veniamo ancora considerate miseramente turiste.

Gli autisti degli Strætó, in modo particolare, zelanti zelanti, tutte le volte che prendiamo il 14 per tornarcene a casa (in una zona un po' decentrata, ma mica poi tanto), si sincerano - "Hvert ert þú að fara?" - che siamo su quell'autobus perchè proprio in quella direzione dobbiamo andare, e non perchè ci siamo perse.

"I thought you were tourists", poi ci dicono.

Quasi un po' come a Troisi in "Ricomincio da tre", però al contrario.


Aspetto con ansia il giorno in cui verremo ignorate dall'uomo al comando del mezzo pubblico.



Tuesday, July 9, 2013

siamo le sfogline, il potere ci temono

Ha inizio il brainstorming sul nome da darci. Partendo dal pensiero "deve essere un nome che espliciti il servizio che offriamo, e che dia un taglio preciso al tutto. Qualcosa con organic".

L.: pentola come si dice in inglese?
I.: pot
L.: pol pot!
I.: ...
L.: un po' forte?
I. : allora palpot ...
L.: che bello palpot!
I.: ma no...
L.: è pure musicale, quasi.
I.: ma, in bergamasco, palpòt,  riferito al cibo, non è mica un complimento! E' una cosa come mappazzone...
L.: è pure di moda allora! Organic mappazz1!!!!!!!11!!!!!!


Nel caso ve lo steste chiedendo : no, non ci chiameremo davvero così.

Thursday, July 4, 2013

tell me why I DO like Mondays

Questo lunedì abbiamo inanellato una serie di successi come non ci capitava da un pezzo.

Andiamo testè ad elencarli.

Tappa uno: l'Heilbrigðiseftirlit. Più precisamente, il Matvælaeftirlit.
Facili entrambi, i nomi, eh?
Il primo, è l'"Ufficio Controlli Sanitari". Il secondo, invece, è l'Ufficio Controllo Alimenti.
Lo scopo della visita era farsi un'idea dei permessi necessari per offrirci come cuoche a domicilio, visto che, per ora, non ci sono rimasti soldi da investire preferiamo dare una struttura snella alla nostra attività.
Ad ogni modo, nei suddetti uffici su Borgartún, abbiamo capito che qui, questo genere di consultazioni, funziona così:
entri --> prendi il tuo numerino (tempi di attesa quasi pari a zero; eventualmente, per ammazzare il tempo, puoi sempre prenderti un caffè. Gratis.) --> chiedi --> ti vengono date delle risposte esaurienti.

Tappa due: il Vinnumala Stofnun (Ufficio di Collocamento).
Anche qui, l'impiegata che ci ha accolto ci è stata di grande aiuto.
Tra circa quattro settimane, avremo un bel kennitala a testa!
Così, finalmente, ci potremo aprire un conto in banca, e - udite! udite! - iscriverci ad un corso di lingua islandese a prezzi vantaggiosi.
Insomma, gradualmente, stiamo iniziando ad avere accesso alla società islandese.



Ma dicevamo dei successoni di lunedì.

Dopo giorni di nervosa attesa, possiamo finalmente dirlo: abbiamo un lavoro!
La prossima settimana, faremo la spola Reykjavik-Mosfellsbaer, per imparare a preparare sushi con uno Chef giapponese. Poi, due settimane di turno di notte in una cucina in cui si produce sushi da distribuire poi, in giornata, in diversi paesi islandesi.
Infine, da agosto, inizieremo a lavorare in un punto produzione/vendita qui nel centro di Reykjavik.
Il contratto durerà un anno almeno, poi si vedrà.

Nel mentre, organizzeremo come si deve la nostra attività di sfogline / cuoche a domicilio.

Galvanizzate da tutte queste belle novità, abbiamo festeggiato comprandoci una lavatrice! Da tre giorni, in questa casa, non si fa altro che caricar panni e gioire fissando l'oblò dell'amata macchina.

Invece, niente frigo ancora.
Quello che sembrava un affarone (e che, se ci siete occhi di lince, potete vedere nell'immagine sottostante), si è rivelato un ottimo sostegno per piastre elettriche, una bella dispensa per menti creative... ma davvero un pessimo frigo. Sfonda i timpani e non raffredda.
Fortuna l'abbiamo pagato, usato - molto, a quanto pare... più logoro che semplicemente usato - 3.000 isk (più o meno venti euro).
I cibi freschi restano, per ora, parcheggiati sul davanzale della finestra (socchiusa).
Davanzale interno. C'è bisogno di specificarlo, col vento che tira da queste parti... ?
Ma sistemeremo anche la questione frigo, prima o poi.
Siamo fiduciose.










p.s.: amici, ci siamo! Le scatole chiuse con lo scotch sono a pochi metri da noi. L'altra sera, abbiamo visto, dalla finestra, una nave porta-container avanzare elegantemente verso il porto.
Sentiamo profumo di libri, utensili da cucina, cd e cicerchie (e olio extravergine di oliva, riso, quinoa, e tutti quei viveri che ci siamo auto-spedite e che ci faranno tornare a sorridere alla vita).